Se c’è una cosa che mi manda giù di testa oggi, è l’odore di ospedale. Quel misto di prodotti chimici usati per pulire, disinfettare che si mischia all’odore di cerotti, bende e biancheria. Non ce la faccio, mi manda in tilt. Ho scoperto sulla mia pelle cosa vuol dire odiare l’ospedale.

La mia vita è sempre stata una vita normale, una vita senza grosse sfortune o fortune. Sia io che la mia famiglia abbiamo vissuto una vita agiata, nel comfort.

Poi un giorno sono stato catapultato dentro la malattia di mio padre.

Vorrei poter raccontare queste cose senza avere un nodo sul petto e senza avere gli occhi gonfi di lacrime ma a distanza di tanti anni non ne sono ancora capace.

Ai tempi ero già sposato, avevo un figlio e ancora non sapevo che a breve ne sarebbe arrivato un altro. Però in questa fase la malattia di mio padre è stata come una meteora è arrivata, è stata identificata, rimossa e tutto è tornato alla normalità. Solo che il cancro è tornato, ed è tornato proprio quando mia moglie era incinta. La gioia per una vita che stava per nascere si è scontrata con l’incertezza che porta una malattia grave.

Mio padre non è stato un padre modello, un uomo di successo o un mostro di intelligenza, ma era il mio pilastro, la persona che mi ha cresciuto, con il quale ho condiviso gran parte della mia vita e che mi ha permesso di essere quello che sono.

Quando la malattia è tornata è successo tutto in un soffio, le visite al pronto soccorso, i discorsi dei medici. pronunciati con una cinicità clinica che faceva più male delle parole stesse.

La mia vita era una corsa ospedale-lavoro-casa, non facevo altro, non volevo perdere nemmeno un attimo per stare insieme a lui anche se giorno dopo giorno un pezzetto di lui non c’era più, fino a quando un giorno in lui non c’ero più io e lì siamo diventati due sconosciuti. Ma io ero sempre al suo fianco, vederlo mi faceva stare meglio e speravo nel mio cuore potesse far stare meglio anche lui.

Ricordo ancora quella pausa pranzo, che sono corso da lui all’ospedale per passare una mezzora insieme, quando la figlia del compagno di stanza di papà mi ha fermato appena uscito dall’ascensore. Mi ha detto in lacrime, non vai da nessuna parte, adesso aspetti qui che vado a chiamarti il medico. E il medico è arrivato e con grandi giri di parole mi ha detto quello che speravo nel mio cuore di non sentire mai. E niente non so neanche come ho fatto a dare la notizia a mia mamma, mia moglie e al resto del mondo, è successo e basta.

Mi sono ritrovato in una situazione che mai mi sarei aspettato, che mai ho voluto aspettarmi ma che è arrivata, ed è arrivata come un macigno. All’inizio è quasi semplice perché non ho realizzato il tutto. Sono stato preso da mille altri pensieri, i documenti all’ospedale, le pompe funebri, scegliere la bara, i servizi, il vestito da mettere a papà. Andare in comune per scegliere il loculo.

Insomma diciamo che ero impegnato, avevo la testa piena di pensieri e di cose da fare. Ma dopo arriva la consapevolezza.

Arriva il vuoto, una sensazione inspiegabile, ho provato per tanto tempo a comprenderla ma non è stato semplice.

Quante volte facendo attività banali come pulire il capanno degli attrezzi ho pensato tipo “dovrei chiedere a papà dove mette le fascette” per poi rendermi conto che lui non c’era più. Ho provato a riprendermi la mia vita e vivere come prima, pensavo di avercela fatta ma ero diventato asettico, ero stato risucchiato nel vuoto che la perdita di mio padre mi aveva creato dentro. Poi a questo vuoto grazie a mia moglie sono riuscito a dare un nome: depressione. Pensavo che tenermi dentro la tristezza e la sofferenza fosse un modo per dimostrare a se stessi di essere più forti ma mi sbagliavo perchè queste sensazioni dentro mi hanno logorato. Da lì ho cominciato un percorso con un professionista per cercare di venirne fuori.

Ancora oggi mi fa male ripensare a quei giorni, però per fortuna posso dire di essere andato oltre.

Se siete arrivati fino qui per cercare una soluzione a tutto questo, beh siete nel posto sbagliato. Tutti i consigli che sono stati dati a me non hanno funzionato.

Ai tempi ricordo che avevo cercato libri per poter gestire questa cosa, ma con la consapevolezza di poi posso dire che non sono serviti a niente, non c’è nulla che possa aiutare a superare un lutto se non il tempo e circondarsi di persone che in un qualche modo possono aiutare.

E anche se mio papà non c’è più da tempo e ripensare a quei tempi mi provoca un dolore che non so spiegare, riesco ancora a sentire la sua presenza vicino a me.